LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
   Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto  dal
 procuratore   generale   presso   la   Corte  suprema  di  Cassazione
 ricorrente;
   Contro  Giordano  Pietro,  Colella  Paolo,  Ministro  di  grazia  e
 giustizia,    Consiglio   superiore   della   magistratura,   sezione
 disciplinare: intimati, e sul secondo ricorso n. 07875/1997  proposto
 da  83/3 Giordano Pietro, Colella Paolo, elettivamente domiciliati in
 Roma, L. Tevere dei  Mellini,  24,  presso  lo  studio  dell'avvocato
 Giovanni  Giacobbe,  che  li  rappresenta e difende, giusta delega in
 calce al controricorso  e  ricorso  incidentale;  controricorrenti  e
 ricorrenti  incidentali  nonche' contro il procuratore generale della
 Repubblica presso la Corte suprema di Cassazione; Ministro di  grazia
 e  giustizia;  intimati  avverso la sentenza n. 15/1997 del Consiglio
 superiore magistratura di Roma, depositata il 19 marzo 1997;
   Udita la  relazione  della  causa  svolta  nella  pubblica  udienza
 dell'11 dicembre 1997 dal consigliere dott. Paolo Vittoria;
   Udito  l'avv. Giovanni Giacobbe per i controricorrenti e ricorrenti
 incidentali;
   Udito il p.m. in persona del sostituto procuratore  generale  dott.
 Franco Morozzo della Rocca che ha concluso per manifesta infondatezza
 della   questione   di  legittimita'  dell'art.  379  c.p.c.  perche'
 interpretabile in conformita' dell'art. 24 della Costituzione.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Il  procuratore  generale  presso questa Corte, il 24 luglio
 1995, comunicava al Consiglio  superiore  della  magistratura  d'aver
 iniziato l'azione disciplinare in confronto del dott. Pietro Giordano
 e del dott. Pietro Colella.
   Dell'inizio  del procedimento era data comunicazione agli incolpati
 con lettera del 26 settembre 1995.
   La contestazione loro rivolta  era  d'aver  mancato  ai  doveri  di
 correttezza  e  di diligenza, d'essersi cosi' resi immeritevoli della
 fiducia e della considerazione di cui il  magistrato  deve  godere  e
 d'aver  compromesso  il  prestigio  dell'ordine  giudiziario (art. 18
 regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511).
   2.  -  La  sezione  disciplinare  del  Consiglio  superiore   della
 magistratura,  con  sentenza  del  19  marzo 1997, assolveva il dott.
 Pietro Giordano ed il dott. Paolo  Colella  dalle  incolpazioni  loro
 contestate.
   La  sezione,  con  la stessa sentenza, aveva in precedenza ritenuto
 non fondata la questione di decadenza  dell'azione  disciplinare  per
 inutile  decorso  del  termine  di un anno preveduto dall'art. 59 del
 d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, come modificato dall'art. 12  della
 legge 3 gennaio 1981, n. 1.
   3.  -  Il  procuratore  generale  presso  questa  Corte ha proposto
 ricorso per cassazione, con atto notificato  il  16  maggio  1987  al
 Ministro  di  grazia  e  giustizia  ed  il  17  maggio  1997  ai  due
 magistrati.
   4.1. - Pietro Giordano e Paolo Colella hanno resistito al  ricorso,
 di  cui  hanno  dedotto  pregiudizialmente  l'inammissibilita' e, nel
 controricorso,  hanno  a  loro  volta  proposto  ricorso  incidentale
 condizionato.
   4.2. - I resistenti, in particolare, hanno sostenuto che il ricorso
 per  cassazione  avverso  la  sentenza della sezione disciplinare del
 Consiglio  superiore  della  magistratura,   se   e'   proposto   dal
 procuratore   generale   presso   questa   Corte,   non  puo'  essere
 sottoscritto, com'e' stato nel  caso,  da  altro  magistrato  da  lui
 delegato  e  che  dell'esistenza  della  delega  dovrebbe essere data
 indicazione nel corpo dell'atto, cio' che non sarebbe avvenuto.
   4.3. - I resistenti - in rapporto all'ammissibilita' del ricorso  -
 hanno poi sollevato, con riferimento agli artt. 3, 24, 101, 105 e 107
 Cost.,  una  questione  di  legittimita' costituzionale del combinato
 disposto degli artt. 14 e 17 della legge 24 marzo 1958, n. 195; 59  e
 60 del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916 e 379 cod. proc. civ.
   Hanno  osservato  che  le norme del 1958 configurano il procuratore
 generale presso la Corte come una parte del giudizio, sicche' non  e'
 giustificabile,  in relazione ai richiamati parametri costituzionali,
 che anche a questo giudizio si applichi lo schema generale  delineato
 dall'art.  379,  terzo  comma,  cod.  proc. civ., per cui il pubblico
 ministero espone, per ultimo, le  sue  motivate  conclusioni.  Questa
 disposizione,   infatti,  costituisce  il  riflesso  di  quelle  che,
 nell'ordinamento giudiziario, agli artt. 73 e  ss.  attribuiscono  al
 pubblico    ministero    la   funzione,   imparziale,   di   vegliare
 all'osservanza della legge.
   4.4.  -  La  stessa  questione  e'  stata  infine  prospettata  dai
 resistenti  come  incidente  sull'ordine  della discussione e, in via
 gradata, essi hanno chiesto che sia rivolto al  procuratore  generale
 l'invito a svolgere per primo le sue difese.
                          Ritenuto in diritto
   1.   -   La  Corte  considera  che  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale sollevata dai resistenti,  per  la  parte  in  cui  e'
 rilevante in rapporto alle norme da osservare nello svolgimento della
 discussione,  deve esere esaminata pregiudizialmente, prima che abbia
 inizio l'esposizione delle difese delle parti.  Essa  precede  dunque
 anche le questioni attinenti all'ammissibilita' del ricorso
   2.  - L'art. 379 cod. proc. civ., ai commi 2 e 3, regola da un lato
 l'esercizio del diritto  di  difesa  delle  parti,  dall'altro  e  in
 successione  l'esercizio del dovere che l'art. 76 del r.d. 30 gennaio
 1941, n.  12 e l'art. 70, comma 2, cod. proc. civ.  attribuiscono  al
 pubblico  ministero  presso questa Corte, di intervenire e concludere
 in tutte le udienze civili.
   La legge 28 marzo 1958, n. 195, ha conferito, all'art. 14, anche al
 procuratore generale presso questa  Corte  il  potere  di  promuovere
 l'azione  disciplinare  e  gli  artt. 59 e 60 del d.P.R. 16 settembre
 1958, n. 916 - il primo modificato dall'art. 1 della legge 3  gennaio
 1981, n. 1 - svolgendo il precetto contenuto nell'art. 17 della legge
 in  conformita'  di quello dettato dall'art. 14 hanno individuato sia
 nel Ministro per la grazia e giustizia sia nel  procuratore  generale
 presso  questa  Corte  i titolari del potere di impugnare con ricorso
 davanti alle sezioni unite i provvedimenti in materia disciplinare.
   Orbene, quante volte il procuratore generale  presso  questa  Corte
 propone  tale  ricorso,  egli  assume nell'ambito del giudizio che si
 svolge davanti alla cassazione la qualita' di parte.
   Determinandosi   tale   situazione    processuale,    si    delinea
 un'incompatibilita'  logica  e  giuridica  quanto  alla contemporanea
 applicazione, con le  norme  appena  richiamate,  delle  disposizioni
 contenute  nell'art.  379,  commi  2  e  3,  cod. proc. civ., perche'
 quest'ultime presuppongono una reciproca estraneita'  tra  parti  del
 giudizio e pubblico ministero, che nel caso manca.
   3. - La rilevata situazione di incompatibilita' tra le disposizioni
 dettate  dall'art.  379,  commi  2  e 3, cod. proc. civ. e quelle che
 attribuiscono al procuratore generale la  legittimazione  al  ricorso
 per  cassazione contro i provvedimenti della sezione disciplinare del
 Consiglio superiore della magistratura, non sembra alla  Corte  possa
 trovare   soluzione  attraverso  l'applicazione  dell'art.  15  delle
 disposizioni preliminari: cioe' dichiarando  non  applicabile  l'art.
 379,  comma  3, cod. proc. civ., nei giudizi promossi dal procuratore
 generale, per incompatibilita' tra la norma del codice di procedura e
 le norme di legge ordinaria  sopravvenute  sulla  legittimazione  del
 procuratore generale.
   L'ordinamento conosce invero almeno un'altra situazione processuale
 dello stesso contenuto, determinata pero' da una successione di norme
 di legge ordinaria di segno invertito: ci si intende riferire al caso
 dell'art.  56, commi 2 e 3, del regio decreto-legge 27 novembre 1993,
 n.  1578  -  sull'ordinamento  delle  professioni   di   avvocato   e
 procuratore  -  che  parimenti  attribuisce  al  procuratore generale
 presso la Corte di cassazione la legittimazione a ricorrere contro le
 decisioni  del  consiglio  nazionale  forense  (come  anche   risulta
 dall'art. 68 del r.d. 27 gennaio 1934, n. 37).
   4.   -  La  compresenza  nell'ordinamento  di  norme  quali  quelle
 richiamate  pone  un  problema  di  compatibilita'  che  va   risolto
 attraverso   il   bilanciamento,  nel  caso  concreto,  di  parametri
 costituzionali, operare il quale rientra nella competenza della Corte
 costituzionale.
   Il  dovere del pubblico ministero presso la Corte di cassazione, di
 intervenire  e  concludere  in  tutte  le  udienze   civili,   e   la
 disposizione  dettata dall'art. 379, comma 3, cod. proc. civ., che ne
 configura  il  modo  di  esercizio,  indubbiamente  si  spiegano  con
 l'esigenza   che   il   pubblico   ministero   presso  la  cassazione
 contribuisca all'esercizio della funzione nomofilattica propria della
 Corte (art. 65 dell'ord.  giudiziario) e cosi' al rispetto del valore
 costituzionale dell'uniforme applicazione della legge (artt. 3 e  11,
 comma 2, Cost.).
   Ma  non  puo' considerarsi in contrasto con questi valori norma che
 assegni al pubblico ministero non il solo potere di  intervenire  nei
 giudizi  davanti  alla  Corte,  bensi'  il  piu'  pregnante potere di
 provocarne il giudizio attraverso la proposizione del ricorso; ne' un
 ostacolo potrebbe essere rinvenuto nello stesso art.  379,  comma  3,
 cod. proc.  civ., che e' pur sempre una norma strumentale, ordinata a
 regolare  il modo di partecipazione del pubblico ministero al giudizi
 davanti alla Corte, rappresentato dal suo intervento.
   Se non che, quante volte la legge attribuisca al pubblico ministero
 presso la cassazione la legittimazione  a  proporre  ricorso  e  tale
 legittimazione  sia  in  concreto  dispiegata, appare contrastare con
 l'art.  24  Cost.  che  il  procuratore  generale,  nella  situazione
 indicata, possa essere ammesso a esporre oralmente le sue conclusioni
 motivate,  a  norma dell'art. 379, comma 3, cod. proc. civ., dopo che
 le parti contro cui egli ha proposto ricorso abbiano dal  canto  loro
 esposto le proprie.
   5. - La Corte ritiene, in conclusione, che, essendo rilevante e non
 manifestamente  infondata,  debba  essere  sollevata  la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 379, comma 3, cod. proc.  civ.,
 per contrasto con l'art. 24 Cost., nella parte in cui,  in  relazione
 agli  artt.  14  e  17 della legge 24 marzo 1958, n. 195 e 59, 60 del
 d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, non prevede che la disposizione non
 si applichi, nel caso in cui il  ricorso  sia  stato  proposto  dallo
 stesso pubblico ministero.